Fare umanità, la cura come pratica identitaria
Cos’è veramente quella esperienza, quel fenomeno, quella relazione che chiamiamo CURA, PRENDERSI CURA, dare AIUTO? È qualcosa che nasce nel qui-e-ora della singola relazione o affonda le sue radici in qualcosa di molto più antico e profondo? È qualcosa che si esaurisce col raggiungimento del singolo risultato o riverbera le sue conseguenze in ambiti dell’esistenza che non siamo abituati a prendere in considerazione? Cosa hanno in comune la CURA e la CULTURA?
L’umanità è oggetto di cure continue, fin dalle origini […] La cura, il prendersi cura, è precisamente la cultura di cui parlano gli antropologi; e la cultura è in prima istanza “cura dell’umanità”; è un “fare” umanità prendendosi cura di essa; è un fare esseri umani provando, ricercando e accudendo la loro umanità. Così Francesco Remotti descrive il nesso, l’equivalenza, tra cura e cultura.
E proprio il contributo originale e fondamentale di Francesco Remotti, che col suo paradigma antropo-poietico ha sviluppato i presupposti bio-antropologici della teoria della fabbricazione sociale degli esseri umani, è il punto di partenza e di riferimento costante dell’intero seminario: è infatti negli interstizi di sovrapposizione tra l’antropo-poiesi della vita quotidiana e quella programmata e consapevole che si inseriscono i miti e i riti della cura come pratica antropo-poietica che caratterizza l’intera nostra esistenza.
In questo seminario proveremo a guardare alla cura, al prendersi cura, all’aiutare come a una pratica nella quale la singola e specifica azione professionale è soltanto un epifenomeno della continua (ri)costruzione di umanità. Lavoreremo su questo specifico campo di azione e sulla differenza tra ciò che è implicito, ciò che esplicito e ciò che è implicato in ogni pratica di cura.

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